Quando, sul finire dell’anno, mi fu proposto di andare in montagna, sulle prime ero veramente indeciso. Poi ad un tratto, mi era balenata in testa la parola Ent.
Un viaggio riposante e un arrivo al mattino, senza particolari eccitazioni.
Scorgo sulla sinistra della strada che mi porta al passo, un fiume adagiato in una forra scura e gelida. Un imperativo fermarsi. Accostata la macchina con due ruote nella neve e due sull’asfalto, scendo a fotografare il ghiaccio con la parola ENT in testa.
Il museo è recente. Molto bello. Cerco di attaccare discorso con il bigliettaio che non mi considera. Tutti i reperti esposti, i vestiti, le maschere, gli attrezzi, i mobili, emanano una magia particolare almeno per me che cerco i miei link interiori.
L’ostacolo evidente a quel punto, diviene trovare qualcuno che produce le maschere. Scendo di nuovo all’ingresso per uscire, e i bigliettai sono diventati due. Uno giovane, l’altro più vecchio con faccia da sindacalista.
Vado da Enzo, suono al portone, risponde al citofono e mi butta giù senza attendere che io riesca a dire qualcosa di convincente.
Gli spiego, quasi con reverenza, che sono venuto lì per via della luna piena di domani e che a carnevale non so se potrò tornare..
Ricordo solo il nome della chiesa. Parcheggio lontano e vado a piedi.
Rispondo in inglese che non parlo italiano. Arrivo alla chiesa e il negozio che cercavo, è chiuso.
Aiutato dalla cartina arrivo a casa di Claus. La casa è tutta affrescata esternamente. Sono affreschi recenti che mostrano il papà di Claus, raffigurato insieme ad un noto fotografo delle Alpi, tale Dantone.
Incomincio a nutrire qualche speranza, e al tempo stesso mi sento carico di quella stanchezza che partoriscono, a volte, i dubbi. Come se stessi forzando la mano. Decido che dopo il prossimo passo, mi fermerò qualsiasi esito negativo, mi avesse dato la ricerca. E’ ormai notte. Fila lunghissima di macchine per ritornare in albergo.
Mi scrive il numero, ma è mancino. Alcuni numeri sono scritti male e una volta provato a chiamare mi dice che il numero è inesistente.
Penso che non ci si presenta sul far della notte, in due, a casa di sconosciuti. Suono.
Mi viene detto al citofono, stravolto da sinistri sfrigolii elettrici, di entrare e accomodarmi. Varco in un ingresso angusto, dai soffiti bassi e le cui pareti sono avvolte da decine e decine di pietre e di minerali. Un grosso baule di legno, chiuso con un lucchetto sulla destra, e dei gradini sulla sinistra, costruiti con sassi di fiume.
La sera successiva, tornai alla stessa ora del giorno prima, a riconsegnare le maschere.
Alla fine, prima di lasciarci, ricordo mi chiese cosa io avessi sognato la notte precedente. Nessuno di noi era stupito.
La prima volta che andai lassù, avevo 17 anni. Con il Club Alpino.
E scarponi, pieni di grasso di foca.
01Gen.2015
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La Recherche Studio