Se non vado errato, l’occupazione di Pisa cominciò quel giovedì 29 febbraio.
Stavo percorrendo la strada che lungo monte la collega a Lucca, quando verso le 7 di mattina, mi trovai all’ improvviso di fronte alla sagoma del battello sociale dei nostri invasori, sdraiato sulla pancia.
Si ergeva ad una sessantina di metri da terra sovrastando le case, e percorreva l’ orizzonte, dal traforo che collega Pisa con Lucca, fino alla Telecom. Sembrava una baguette calpestata, biancastra e ovale, quasi del tutto piatta nel ventre, con i bulloni di giuntura delle lamiere bene in vista, e perché si svuotasse del suo esercito ci vollero quasi 28 giorni. Era vicino alla casa di quel tipo che tutti chiamano Murphy.
Delle semplici scale di corda pencolavano dalle migliaia di oblò che foravano la carlinga, e che con inesorabile lentezza, vomitavano uno ad uno il soldati di quell’ impero che da allora ci sottomette.
Bianchi, trasparenti e un pò cerulei, si sparsero a centinaia di migliaia in tutta la nazione.
Ebbi l’impressione che fosse finita per tutti, senza che potessimo ritenerci sorpresi.
E poi fu certezza.
Ad ognuno di noi ne toccò uno in sorte. Il mio mi raggiunse, avvicinandosi con un passo felpato e certo, mentre ero lì che guardavo la scena, quasi paralizzato.
Dicono che all’interno di quella cattedrale volante, ci fosse una unica grande sala, grande quanto la sua superficie. Al suo interno i soldati celesti in fila, e divisi da un largo quanto inutile corridoio centrale.
Al centro, in fondo, rialzata su 12 di gradini una grande piattaforma bianca, culminante con una grande spianata, al cui centro si stagliava una figura appesa a testa all’ ingiù coperta di miele.
Irradiava una luce propria, ed un silenzioso quanto amorevole sciame d’api la divorava. Un appeso.
A pochi passi da questa, un altra figura salmodiava in piedi mimando la sua stessa voce senza che s’ udisse parola. E a chi con deferente e giustificato timore vedeva la scena da lontano, sembrava che quella sorta di celebrante leggesse un piccolissimo volume che inforcava tra le mani, scandendo un labiale esagerato e muto, di cui tutti gli astanti, sembravano attoniti capire il senso.
Si trattava di una di quelle presenze che invocano e preludono spiegazioni urgenti.
Gli invasori ci liberarono definitivamente da ogni forma di demagogia.
Non c’erano più gli estremi perché la politica venisse praticata come un esodo estivo, etico e morale, ed in quanto tale venne censita tra i vizi capitali.
Molti furono i vantaggi che quella dominazione portò in quella regione. Io stesso ero riuscito a creare una partizione dentro di me in virtù di questo. La usavo per custodire intatte le mie intensità. E spesso passavo le sere a ritrovare tutte le mie prime volte. Un cammeo dopo l’altro.
Sparirono tutte le forme di accidia esistenziale, e le Misericordie di paese. Scomparve il senso di colpa che la macrobiotica induce per non essere stati migliori, almeno fin lì.
Sparì la morte prima degli 85 anni se non volontaria. Sparirono molte forme di indifferenza. Rimasero solo quelle plausibili.
E l’ amore tra generi diversi non fu più considerato un opzione di default. La storia dell’ arte divenne l’ unica materia imposta agli studenti dai 10 anni in giù.
Successe un casino ovviamente.