Gibellina e Poggioreale. Due paesi dell’entroterra siciliano. Entrambi colpiti dal sisma del 1968 che rase al suolo Gibellina e ferì gravemente Poggioreale, che dista appena 15 km.
Ciò che rimane della vecchia Gibellina è il Cretto di Burri. Una colossale opera di copertura delle rovine, con dei blocchi di cemento, che ricalca il tracciato viario del paese distrutto, e che appare da chilometri stagliato nella collina, come un immensa lapide percorsa da crepature. Lo trovai per caso vagando per la Sicilia, il giorno di un mio ennesimo solitario compleanno di tanti anni fa.
Era caldo, verso ora di pranzo cercavo un posto dove ripararmi. Mi addormentai in macchina vicino all’ingresso del labirinto. Sognai di vagarci dentro per chiedere perdono a qualcuno che non riuscivo a trovare. Queste fotografie sono forse la trasposizione di quel sogno.
Viste le attuali condizioni del Cretto di Burri e di Poggioreale, verrebbe da chiedersi quale intenzione politica sia in grado di lasciare un segno migliore di quello passato, e in nome di cosa intenderà farlo. Ma soprattutto se ancora ne esiste una, visto che ancora confondiamo la politica con chi la decide. Cioè noi.
Poggioreale oggi appare come il simbolo dell’impotenza di un tessuto sociale , che non riesce ad avere una consapevolezza della sua memoria. Mettere mano seriamente ad un progetto di tale portata, ( Poggioreale è considerata l’unica ghost town dell’intera Sicilia) sarebbe un atto di coraggiosa onestà intellettuale, che la politica non ricorda più di dover esprimere, ma soprattutto perché la forza di chi la elegge è debole e complice.
Ciò che è stato è stato. L’incuria, la mancanza di rispetto, la mafia, sono dei cliché nei quali bisogna avere lo stomaco di non cadere e viene dunque da chiedersi, come e dove trovare il senso nel proporre giornate della memoria, se le nostre esistenze sono prive di tentativi per crearne una. Forse sarebbe più semplice sancire con più onestà ancora, che c’è poco da fare, farsene una ragione, e celebrare la fine che è sempre dentro ogni inizio. O viceversa. Questa raccolta di immagini intende rendere qualcosa all’urlo che ancora vaga tra quei vicoli, e al lutto ormai maturo, per la perdita di tutti i simboli della civiltà contadina nel nostro quotidiano.
Nel farlo, ci siamo posti infine, la domanda sul perché, e se fosse giusto danzare in un cimitero. E se fosse giusto rivolgersi ai morti in questo modo ed in netto contrasto alla loro condizione.E questa ci è parsa provocatoriamente, l’unica chance che avevamo per crearci noi stessi una memoria, ed onorarne un altra.
Ed abbiamo offerto loro la nudità, in cambio del perdono.