Ore 13. Centro storico di Palermo. Consultavo il menù, e di fronte a me nel tavolo opposto, una donna faceva la stessa cosa.
Ogni tanto alzavamo gli occhi guardandoci, quasi nel tentativo di capire cosa l’altro avrebbe scelto, e alla fine ordinammo lo stesso piatto.
Incominciammo a parlare ad alta voce essendo distanti, e impossibilitati a stabilire qualsiasi tipo di intimità .
Sederci allo stesso tavolo,sarebbe stato un gesto provocatorio,che nessuno dei due si sentiva di voler percorrere. Ciò che dicevamo poteva essere ascoltato da tutti coloro che erano vicino. Contenuti vaghi all’inizio,e nessuno dei due sentiva il desiderio di parlare del meteo.
Anzi, sembrava che ci fosse il tacito intento di mostrare a chiunque, le nostre reciproche ed oceaniche solitudini.
Dissi che il motivo della mia visita, era riprendere una processione al Capo di Palermo, e lei mi confermò che era lì, per la stessa cosa. Veniva da Torino. Il discorso scivolò a quel punto sulla Sicilia e i siciliani, e su quanto, a parer mio, avesse ragione chi sostiene che la Sicilia è una provincia del nord Africa. Un vicino di tavolo si sentì palesemente offeso da questo, ed entrò a gamba tesa nella discussione, chiedendomi esplicitamente cosa venissi a fare in Sicilia da 20 anni, e perché non rimanessi a casa mia. La donna, si girò verso di lui e apostrofandolo con altrettanta durezza, e spiegandogli, che l’appartenenza della Sicilia ad una altra cultura, era un valore enorme di cui tenere conto, e non qualcosa da cui doversi difendere.
Si inserirono nella discussione, un figlio ed una madre da un tavolo ancora più in là. L’uomo cominciò a discutere animatamente con il ragazzo che mi aveva aggredito, rimproverandolo di tanta maleducazione, ed esprimendo solidarietà verso il mio punto di vista, che di fatto, non aveva preso mai in considerazione, e della sua pertinenza.
I due tavoli siciliani cominciarono a litigare in Arabo tra di loro, e noi tornammo alla nostra discussione.
Durante il precedente dialogo con la donna, mi erano scappate due parole. L’amore inutile. Rivolto alla Sicilia. Così mentre gli altri litigavano, lei mi chiese cosa intendessi per amore inutile.
Le spiegai che secondo me, l’amore inutile è quella manifestazione dell’animo umano, che si riversa su qualcuno o qualcosa che si ritiene indispensabile per noi, e per il quale proviamo qualcosa che ci risulta inspiegabile, ma così potente da far leva sul nostro continuum mentale. Qualcosa che non viene accolto perché risulta essere incomprensibile al lessico di chi lo riceve, al punto da non essere corrisposto neanche in maniera informale o addirittura rifiutato ignorato, infine deriso.
Il mondo è pieno di questa forma di amore, e pochi ne riconoscono l’utilità, tantomeno la presenza.
Quei pochi però, sono in grado di usarlo, riversandolo su chi lo rifiuta, su chi lo ignora o peggio ancora su chi non ne conosce l’esistenza. Perché obbediscono ad una legge di cui l’inconscio collettivo si nutre, per restituirlo in forme silenziose ed altrettanto inconsapevoli di convivenza e rispetto. Sono forme che lo rendono apparentemente inutile proprio perché non accolto. Inutile a chi non lo percepisce, ma così essenziale a chi inutilmente lo pratica. Anche se va disperso. Anche se viene deriso appunto.
Ci lasciammo al caffè, stupiti probabilmente della nostra appartenenza allo stesso progetto silenzioso. Senza alcun tipo di approccio, senza alcuna benedizione e senza scambiarci whatsapp, per fortuna.
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